Voglio proporre un articolo che (come un altro già riproposto da me in passato) analizza la questione della postproduzione, scagionandola dalle accuse di chi si sente più “fotografo” se non applica nessuna elaborazione (anche minima) all’immagine originale: leggete l’articolo qui.
Sono soprattutto d’accordo sui riferimenti storici alla postproduzione, che avveniva anche per la fotografia analogica: oltre ai citati processi chimici, le foto potevano essere schiarite o scurite selettivamente alla stregua del dodging/burning del Photoshop tanto criticato dai puristi (che dovrebbero dare uno sguardo alla foto del maestro Ansel Adams pubblicata nell’articolo e leggere la descrizione)!
Fonte: L’occhio del fotografo.
3 risposte
Concordo appieno con l’articolo (e vorrei vedere, visti i miei lavori). Mio padre invece è un fermo sostenitore del “scatto e stampo”, come dice lui. Mi ricordo di un articolo che non so più dove ho letto, dove un esperto di HDR esplorava anch’egli l’etica della postproduzione (e quella HDR, di postproduzione, può essere violentemente esplosiva). Raccontava che stava subendo gli attacchi di un compagno fotografo, accusandolo di falsare i colori delle immagini. Qualcosa tipo “La fotografia deve restituire fedelmente la realtà”. Lui lo stette ad ascoltare un po’, e poi gli disse (è più forte di me, romanzandolo me lo vedo appoggiargli una mano sulla spalla e guardarlo con fare paterno) “Ehi, tu scatti in bianco e nero”…
Ehm, logicamente, la frase “stava subendo gli attacchi di un compagno fotografo, accusandolo…” voleva essere “stava subendo gli attacchi di un compagno fotografo, che lo accusava di…”. Chiedo venia!
ahahah, ottima risposta quella del bianco e nero! in effetti “falsificazione” del colore più antica e apprezzata di quella non ce n’è… se vuoi leggiti anche l’altro articolo citato nel mio post (dal titolo “Per i puristi”) che parla dell’interpretazione fotografica invece che della fotografia come documentazione esatta della realtà!